giovedì 31 gennaio 2008

Diario di viaggio, materiale extra 2: il pachinko

L'ultimo capitolo del diario di viaggio non poteva non essere dedicato al pachinko, probabilmente il gioco più diffuso in Giappone. Si tratta di una sorta di incrocio tra una slot machine e un flipper, in cui, dopo aver inserito dei soldi, dall'alto escono una dopo l'altra delle biglie di metallo che devono, o dovrebbero, fare un certo percorso. Se finiscono in un certo buco, le vinci tu e escono da sotto e tu le puoi rimettere in gioco o cambiarle in premi/soldi, altrimenti le mangia la macchina. Il percorso delle palline può essere misteriosamente modificato da una manopola che onestamente non ho capito come funziona.
Siccome non avevo mai provato, l'ultimo giorno a Kumamoto Shinji, Kim-chan e io siamo andati in un pachinko e Kim-chan ci ha insegnato i rudimenti. Dopo un po' che non capivamo niente e le palline continuavano a turbinare senza un ordine preciso, abbiamo deciso di spostarci alle slot machine... e io ho vinto!! Ben 7000 yen, meno i 2000 spesi all'inizio, ho avuto un guadagno netto di 5000 yen! La classica fortuna dei principianti.
In Giappone ci sono degli enormi "parlour" in cui appena entri vieni assalito da musichette assordanti e ci sono file e file di macchinette, con persone le più diverse che giocano a tutte le ore. Quando vinci, prendi i tuoi gettoni e vai a cambiarli. Ti danno uno scontrino e una scatola di biscotti/cioccolatini. A quel punto esci e sul retro c'è un bugigattolo in cui ti danno i soldi. Questo succede perché in teoria, il gioco d'azzardo è illegale! Quindi non ti possono dare dei soldi dentro. Però te li danno fuori! Mica scemi, eh?

mercoledì 23 gennaio 2008

Diario di viaggio, materiale extra: kotatsu e capodanno

Immagino che tra i lettori di questo blog non ci siano molti appassionati di Host Club (Elena, se ci sei batti un colpo!), comunque nell'ottavo volume c'era un episodio incentrato sul kotatsu, che è un tavolino riscaldato. Sul piano del tavolo si mette una coperta, sulla quale si posiziona un'altro piano, su cui si mangia.
Nell'espisodio di cui dicevo, Tamaki dice:

"Il kotatsu è una cosa stupenda! E' l'espressione regina della cultura giapponese, sedersi per terra e stare tutti insieme in allegria!",

e poco oltre:

"Il kotatsu è il simbolo dell'unità famigliare! E' vero o no che l'ultimo dell'anno la famiglia si riunisce intorno al tiepido kotatsu, e dimenticando i piccoli screzi quotidiani, man mano che i piedi si sfiorano inevitabilmente, guarda la grande battaglia canora in TV? Anche i mandarini sono un ingrediente fondamentale!"

Credo non ci siano parole migliori per esprimere quello che volevo dire sul kotatsu. Tamaki non mi delude mai.
Ebbene, tutto ciò è assolutamente vero. Nella fotografia qui sopra, a prova dell'enorme potere rilassante e depurante di tutte le tensioni quotidiane e famigliari, Shinji che si addormenta nel kotatsu. La battaglia canora l'abbiamo guardata anche noi, a capodanno. Si tratta di un programma televisivo che fanno tutti gli anni, in cui cantanti famosi divisi in due squadre (rossi-donne e bianchi-uomini) si affrontano a colpi di canzoni famose, e il pubblico da casa, televotando, sceglie la squadra vincitrice. E' assolutamente un must del capodanno in famiglia. Quest'anno hanno vinto gli uomini, per la cronaca.


Altra cosa tipica del capodanno in Giappone è quello che vedete qui a fianco, che si chiama o-sechi. Si tratta di un pasto speciale per capodanno, tradizionale e simbolico. A ogni preparazione è assegnato un simbolo: l'omelette arrotolata con pesce simboleggia la speranza di giorni felici, la salsiccia di pesce bianca e rossa rappresenta il sole che sorge, le uova di pesce siboleggiano il desiderio di avere tanti figli, l'alga la gioia, i fagioli neri la salute, il dentice la felicità, e le acciughe dolci la prosperità e così via.
In realtà il gusto non è tutto sto gran che, ma è molto divertente il concetto. Tanto più che i simboli sono fatti per semplici associazioni fonetiche o di ideogrammi, del tutto arbitrarie!

domenica 20 gennaio 2008

Diario di viaggio, parte quarta: Kumamoto

Dopo una breve sosta alle terme di Shirahama e una notte passata a Osaka, eccoci giunti a Kumamoto.


Qui la cosa sarà più complicata, perché ci sarebbero davvero tante cose da dire. Ho deciso di fare due capitoli speciali, in seguito, per ridurre un po' quello che dovrò scrivere qui, ma sarà comunque arduo...
Come potrete immaginare, l'obiettivo del nostro avvento a Kumamoto era quello di passare il Capodanno in famiglia. E così abbiamo fatto. Ci siamo riposati, abbiamo mangiato quantità esagerate di roba, abbiamo chiacchierato con mamme/ papà/ fratelli/ cognate/ nipotini/ cugini/ zie e chi più ne ha più ne metta.



Ecco a voi, in alto, Kotetsu e Nazuna di fronte al "pranzo bimbi" (per uno!!!) di un ristorante in cui siamo andati. Alla faccia del pranzo bimbi, ovviamente non l'hanno finito (ci abbiamo pensato io e la loro mamma...). Qui a fianco, a grande richiesta, i fratelli Kono!


E scusate se è poco, la nonna!!!!!
Dovete sapere che i nonni materni di Shinji sono di Okinawa (resta solo la nonna). Il che rimane ad esempio in alcuni piatti che Shinji ricorda di aver mangiato spesso cucinati dal nonno quando era piccolo. Pare, a quanto dice ora lei, che la nonna fosse stata promessa in sposa prima ancora di nascere! Chissà se è vero...
Comunque è la nonna svampita più simpatica del mondo!





Essendo tutta la famiglia appassionata di karaoke, non potevamo certo esimerci dall'andare a farci una cantatina con mamma e papà.
Per loro è una vera passione, si esercitano seriamente raggiungendo risultati davvero notevoli (anche in inglese!).


Infine, siccome Kumamoto non è solo luogo di piaceri ma anche di cultura, abbiamo fatto addirittura UNA gita culturale. A parte gli scherzi, il tempo è stato davvero poco e molte cose (ad esempio il bellissimo castello, la casa di Natsume Soseki, il parco Suizenji ecc) li avevo già visti in passato. Ebbene, questa volta siamo andati al Reigando, la grotta dove Miyamoto Musashi si ritirò in eremitaggio per scrivere il suo "Libro dei cinque anelli". Accanto alla caverna propriamente detta, c'è una parete rocciosa su cui sono stati posti molti (la leggenda dice 500 ma ovviamente sono meno) jizo, statuette buddiste, ognuna con un'espressione diversa, come forse si può capire, con l'aiuto di un po' di immaginazione, dalla foto.
Purtroppo il tempo freddo e quasi nevoso non ci ha permesso di rimanere a lungo, ma anche questo è un luogo con un'atmosfera davvero particolare.


domenica 13 gennaio 2008

Diario di viaggio, parte terza: L'antica via di Kumano ☆ 熊野古道

La terza tappa del nostro viaggio è stata l'antica via di Kumano (熊野古道), la strada dei pellegrini che, nella pensisola di Kii, unisce i tre grandi santuari Kumano Hongu Taisha, Kumano Hayatama Taisha e Kumano Nachi Taisha, che tutti insieme prendono il nome di Kumano Sanzan, cioè "i tre monti di Kumano".


Partiti da Ise subito dopo la visita al santuario, siamo saliti su un treno regionale che per fare poco più di 100 km ci ha messo più di tre ore!! In effetti si fermava ad ogni stazione, quasi tutte piccolissime, per un totale di 31 (trentuno)!! Arrivati a Katsuura, la nostra base per la visita all'antica via di Kumano, eravamo stravolti e nei pressi della stazione era tutto buio. Abbiamo trovato un alberghetto e mangiato un pasto pronto.

La mattina abbiamo fatto un giretto al porto, dove abbiamo visto scaricare, disporre e calibrare una quantità industriale di tonni (yum). Poi via in pullman verso il Nachi Taisha, con la sua antica via.





Da tempo immemorabile i pellegrini percorrono questa serie di sentieri che si intrecciano nella fitta foresta, per far visita ai santuari di cui sopra, intervallati da tanti altri più piccoli. Si tratta semplicemente di un sentiero nel bosco, lastricato quanto basta, con altarini e tempietti a intervallare il percorso.

E' difficile descrivere a parole l'atmosfera, la calma, il ritmo rallentato che tutto prende in quei luoghi. I versi degli uccelli, il bosco di bambù, quelli che scendono e salutano, la guida turistica che aspetta qualcuno e intanto ti racconta.




Arrivati in cima, piccolo agglomerato di case con simpatica vecchina che vende caramelle. Il suo è un tipico negozietto di quelli che ormai si vedono sempre meno... Foto.
(e mi torna in mente il viaggio di Takemoto)



E finalmente il Nachi Taisha (che onestamente, rispetto alla strada per arrivarci, non è niente di che...). Notare il torii arancione, in tipico stile Kumano, mi dicono...

Attaccato al santuario c'è anche un tempio buddista, fuori una signora che brucia incenso ci fa una minilezione sulla differenza tra buddismo e shintoismo, leggermente risentita per il fatto che con il ristabilirsi della religione shintoista, molti templi furono trasformati in santuari, cosa che proprio non le va giù. Entriamo, anche il monaco attacca bottone, paragona i pellegrini di Kumano a quelli di Roma, il che mi fa pensare a come sia davvero possibile pensarsi uguali.


Poco distante, una pagoda a tre piani con la bellissima cascata di Nachi sullo sfondo. Pare che sia la più alta del Giappone. Anche ai piedi della cascata c'è un tempietto, e dicono che berne l'acqua doni lunga vita (fatto, ora stiamo a vedere).



Tornati in città, compriamo qualche souvenir mangereccio e saliamo sul primo treno per Shirahama (un altro treno locale... argh).


mercoledì 9 gennaio 2008

Diario di viaggio, parte seconda: il santuario di Ise

Dopo una notte a Nagoya, e una cena a base di miso katsu, cioè una cotoletta di maiale impanata e poi ulteriormente intinta in una salsa a base di miso, al mattino ci siamo diretti verso Ise, dove si trova il santuario shinto più importante e antico di tutto il Giappone.

Visto che è stata una esperienza bellissima, vorrei spendere due parole per spiegare brevemente e in modo molto semplificato cos'è lo shinto, e che ruolo ha il santuario di Ise all'interno di questa "religione". Premetto che tutto quello che scriverò l'ho imparato per caso, girando i santuari e leggendo qualche libro, quindi se ci saranno delle inesattezze me ne scuso fin da ora.


Il Giappone originariamente professava un culto di tipo animista, ma con una piccola differenza. Non credevano che in tutte le cose abitasse uno spirito, bensì credevano che tutte le cose fossero uno spirito di per sè. Questi spiriti, tutti espressione di un'unica forza vitale ma diversi tra di loro, prendono il nome di kami. Oltre ai kami che sono in mezzo a noi (il bosco, la montagna, il fiume...), c'è anche un pantheon di kami "superiori", che abita le alte pianure del cielo, del tutto simile al pantheon di dei pagani greci o romani. Sono kami di forma antropomorfa, che provano emozioni umane, piangono, ridono, si offendono, fanno la pace, e a differenza degli dei "nostrani" non sono infallibili né immutabili, sebbene conservino la prerogativa dell'immortalità (e ci mancherebbe). Il kami più importante di questo pantheon, sebbene non sia il primo, è Amaterasu Omikami, la dea del sole, che dona la luce e quindi la vita, e dalla quale discende la famiglia imperiale giapponese. Furono i genitori di Amaterasu, Izanami e Izanagi, gli dei fratelli e amanti, a creare il Giappone facendo cadere gocce nel mare dal loro bastone sacro. Ma questa è un'altra storia.

Il santuario è il luogo di contatto tra il mondo degli uomini e il mondo degli spiriti, è un luogo "magico" segnalato dal torii, il "cancello" che si vede in cima alle scale nella fotografia qui a destra e in fondo alla strada in quella più sopra. Il torii sta a segnalare che si sta entrando in un luogo sacro, dimora dei kami, e per farlo ovviamente bisogna purificare lo spirito e il corpo. Per lo spirito, è un po' più complicato, ma per purificare il corpo il santuario mette a disposizione delle vasche d'acqua con dei mestoli grazie ai quali ci si lava le mani (purificazione di fuori) e la bocca (purificazione di dentro).


All'interno dei santuari, di quello di Ise come di tutti gli altri, non c'è nulla se non delle capanne, più o meno grandi, ma sempre molto semplici, che sono appunto la dimora del kami che risiede in quel particolare santuario. Di solito c'è un kami principale a cui è dedicato l'edificio più grande, e tanti kami "più piccoli", per i quali sono edificate piccole capanne tutto intorno. Poi c'è l'edificio delle danze sacre e l'immancabile edificio per la vendita di: portafortuna (per la salute, l'amore, la guida, lo studio, la gravidanza ecc), nonché i fuda, pezzi di carta su cui è scritto il nome del kami, e che serviranno per proteggere una certa area (a chi non vengono in mente i fuda messi sulle porte per impedire agli spiriti vendicativi di entrare, nelle vecchie storie di fantasmi giapponesi?), e tipicamente vengono inseriti nell'altare domestico per proteggere la casa.


Ma mi sembra giunto il momento di cominciare a parlare del santuario di Ise. Si tratta in realtà di due santuari, il santuario di dentro (naiku) e il santuario di fuori (geku), distanti poco più di 5 km tra di loro, ai quali fanno da cornice una novantina di santuari più piccoli. Il santuario principale, il naiku, è dedicato alla dea Amaterasu Omikami, e custodisce uno dei tesori del Giappone, lo specchio sacro. Si tratta del leggendario specchio con il quale gli altri kami attirarono Amaterasu fuori dalla caverna nella quale si era nascosta, stufa di litigare con gli altri, lasciando così tutto il Giappone al buio! Il santuario, come tutti gli altri del resto, viene ricostruito periodicamente, sempre seguendo le tecniche e l'architettura originali (è questo il lavoro che finisce a fare Takemoto di Honey and Clover!), e lo specchio viene traslato dal suo vecchio alloggiamento a quello nuovo, appena costruito, di notte, in assoluto silenzio, in modo che Amaterasu si svegli nella sua nuova casa senza accorgersi di nulla. Il geku invece è dedicato al kami delle messi e dei raccolti, Toyouke Omikami. E' superfluo dire che il raccolto di riso, di fondamentale importanza fin dalla notte dei tempi per un popolo che basa la sua dieta su di esso, è sempre stato oggetto di riti propiziatori e cerimonie simili. Basti dire che all'ascesa al trono di un nuovo Imperatore, questi deve piantare il riso nuovo (o forse lo deve fare ogni anno? Non ricordo).

I due santuari, quello di dentro e quello di fuori, sono molto diversi tra loro. Ovviamente ognuno di essi conserva le caratteristiche principali del santuario tipo: accesso attraverso il torii, altri torii più piccoli a segnalare accessi a ulteriori aree sacre all'interno dell'area sacra, edificio principale con vari edifici più piccoli dedicati a kami minori. Ma mentre il naiku è quasi tutto in pianura, con sentieri larghi e aiuole curate, il geku è selvatico, verrebbe da dire selvaggio, sentieri stretti e irti si snodano in mezzo a una natura secolare e viva, lasciata fiorire a suo modo, che è un modo che comunque non tradisce e non interfersisce con la presenza umana. Personalmente, il geku mi ha fatto un'impressione fortissima. Passeggiare in assoluto silenzio in mezzo a una natura che da secoli avvolge e non stravolge l'architettura del tempio, in un muto patto tra uomini e kami.
Ciò che è più straordinario dei santuari di Ise, a mio parere, è che pur essendo i santuari più importanti del Giappone, visitati periodicamente da primi ministri e Imperatori che vi svolgono riti che si ripetono sempre uguali da secoli, sono i più semplici che io abbia visto. Già i santuari shinto sono semplici per definizione, naturali, ma questi hanno una semplicità ulteriore, una sorta di umiltà che traspare da ogni centimetro quadro (basti pensare che i torii non sono neanche dipinti di arancione, come è praticamente d'uso), un'atmosfera di assoluta comunione con la natura che non può non far sentire la sacralità di ciò che ci circonda.


martedì 8 gennaio 2008

Diario di viaggio, parte prima: Tokyo


Arrivare in Giappone e sentirmi come se fossi sempre stata qui. Il treno che dall'aeroporto ci porta in centro passa in mezzo alle case, gente che studia, ragazzi che tirano pugni a un sacco, e infine Shinjuku, sempre uguale, sempre diversa.

La sera incontriamo Kazumi e Kim-chan (amico di Shinji). E' strano vedere Kazumi in Giappone, anche se dovrebbe essere ovvio, per me è la prima volta. E' strano parlare in giapponese e pensare che tutti ci capiscano.


Il giorno dopo (dopo una nottata movimentata).

Tornare a casa, a Ogikubo, e scoprire che la tua casa non c'è più, sostituita da un più moderno condominio con annesso ambulatorio ortopedico (in effetti Shinji ricorda che la figlia della padrona di casa studiasse ortopedia). Ogikubo nonostante tutto è sempre bella, è sempre casa. Mangiamo sushi per pranzo, nel ristorante dove andavamo spesso quando abitavamo lì, e vedere che non è cambiato nulla è un tuffo al cuore, ma bello.
Nel tardo pomeriggio Kim-chan porta noi e Kazumi in taxi (il suo taxi) in giro per la Tokyo illuminata per Natale (di cui un piccolo assaggio in queste foto). Prima Harajuku, Roppongi, poi il Rainbow Bridge (che è davvero illuminato con tutti i colori dell'arcobaleno) e infine Yokohama (che in questi mesi ho cominciato ad amare perché compare molte vole e in scene clou in Honey and Clover). Yakiniku per cena, davvero ottima...


Dopo un'ulteriore notte in cui ancora non riesco a dormire bene io e Shinji, non contenti e leggermente inviperiti per la demolizione della nostra bellissima casetta, andiamo anche a Kyodo, dove vivevamo prima, per scoprire che quella casa, invece decisamente decrepita e già in odore di demolizione da anni, è ancora lì. Misteri dell'urbanistica nipponica. Passeggiata piena di ricordi, i primi tempi, i posti, gli incontri. Ramen per pranzo. Seconda tappa a Shibuya, che sembra un fiume in piena, e poi via verso Nagoya.

Diario di viaggio: premessa

Eccoci dunque tornati all'ovile. Per coloro che si sono gentilmente preoccupati, siamo tornati ieri sera tardi (in realtà non era tanto tardi, ma con il fuso orario mi sembrava tardissimo). Il viaggio, come si poteva immaginare, è andato benissimo.
MA!!!
Ci si è sminchsputtvaffpocaputtrotta la macchina foto, quindi mancano clamorosamente tutte le foto della prima metà del viaggio, quella tra l'altro più succosa. Poi abbiamo comprato una macchinetta usa e getta e appena giunti in una grande città un'altra macchina digitale a basso costo, però... Uffi.
Per ora è tutto. Disfo un po' di bagagli e comincio a raccontare.